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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

mercoledì 4 novembre 2009

«No al silenzio su Stefano»

L’avvocato Giampiero Mattei, legale della famiglia Frapporti, non ha ancora ricevuto nulla di ufficiale dalla Procura. Ma alla concreta ipotesi di archiviazione per la morte di Stefano Frapporti da parte della Procura la famiglia non ha intenzione di arrendersi: «Vogliamo capire i motivi che spingono gli inquirenti a chiudere il caso così. Se necessario, ci opporremo».
Secondo la Procura non ci sarebbero elementi per mettere in discussione né l’operato dei carabinieri, che martedì 21 luglio fermarono per strada Frapporti, lo perquisirono e non trovandogli nulla addosso lo sottoposero a perquisizione domicliare trovando oltre un etto di hashish, nè nella condotta delle guardie carcerarie, che lo ebbero in consegna dalle 22.30 fino alla mezzanotte, quando il quarantottenne muratore di Isera, che fino a quel momento non aveva avuto nessun problema con la legge, venne trovato impiccato nella sua cella. Soffocato dal cordone dei pantaloni della tuta ginnica, come certificò l’autopsia ordinata dal sostituto procuratore Fabrizio De Angelis. Forse quella stringa non avrebbe dovuto esserci, ha obiettato qualcuno. «Gliela dovevano togliere» hanno osservato a suo tempo persino le organizzazioni sindacali che tutelano le guardie carcerarie. Ma buttare in capo alle guardie una morte così crudele e repentina pare ingeneroso, la stringa era ben occultata all’interno del girovita e lo stesso Frapporti non avrebbe dato alcun segno di agitazione o squilibrio.
Del resto nemmeno la famiglia di Stefano Frapporti, molto impressionata anche dal recentissimo caso di Stefano Cucchi, ha mai puntato il dito contro le guardie penitenziarie. «Noi continuiamo a ritenere che l’arresto fosse facoltativo, stando a quanto dice la legge - spiega la sorella Ida -. Stefano non era un criminale, ma un lavoratore onesto. Uno che ha sempre lavorato fin da ragazzo. Non c’era alcun rischio di fuga, nè pericolosità sociale. Non c’era ragione di metterlo in cella, bastava la denuncia. Ci inquieta sapere che anche dopo una perquisizione personale negativa si possa imporre a chiunque una perquisizione domiciliare, senza un reale motivo. Se la Procura non ritiene ci siano condotte da sanzionare e intende archiviare, faremo di tutto per opporci attraverso le vie legali». Gli amici di Stefano, che hanno continuato a sostenere la famiglia persino con una raccolta fondi che ha messo un po’ in imbarazzo i fratelli del muratore scomparso. «Non l’avevamo chiesto noi, siamo autosufficenti, ma loro hanno insistito» spiega Ida Frapporti. Ora c’è il progetto di un’associazione con il nome di Stefano, per fare in modo che tragedie simili non si ripetano.

Il Trentino, 04/11/2009

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